filosofia
Difficile credere quanto le mani di un meccanico possano essere raffinate ed educate. Sono in grado di trattare con cura e precisione anche cose delicate e preziose.
Possono rendere concreto ciò che è astratto.
Per dovere studiavo elettronica a scuola alla mattina, ma a pomeriggio adoravo sporcarmi le mani in un’officina vicino casa. Andavo lì per puro piacere. Il tempo passava velocemente e per me non era mai ora di tornare a casa, così, mia madre, preoccupata di non vedermi rincasare, veniva a prendermi. È stato così per anni.
Quando ho finito l’istituto tecnico ad aspettarmi c’era un posto come operaio nella piccola azienda metalmeccanica di mio padre.
Ecco quello che volevo. Ecco il lavoro che desideravo.
Ancora però non sapevo che qualcosa sarebbe cambiato. Sono cresciuto e con me anche l’azienda.
Non so spiegare perché e come sia successo ma un lato di me, di cui non avevo ancora preso piena coscienza, mi spingeva a sperimentare, cercare, guardare “altro”, volevo condividere le mie idee, le mie ambizioni, le mie curiosità, volevo far crescere l’azienda, volevo applicare la metalmeccanica a un qualcosa di raffinato: il design.
Dopo aver trascorso anni a lavorare pezzi che qualcun’altro aveva pensato, volevo poter realizzare le mie idee, i miei progetti.
Così ho osato e oggi, con soddisfazione, mi rendo conto che le mie idee sono diventate oggetti raffinati, soluzioni intelligenti, oggetti di design.
La sfida di pensare al nuovo, ideare e realizzare ciò che ancora non esiste è continua ed è ciò che stimola maggiormente il mio impegno quotidiano.
Dentro di me c’è ancora quel bambino che passa le giornate tra le macchine, ma ora può contare anche su una squadra di collaboratori che non esagero se li considero “la mia seconda famiglia”.
Andrea Artioli
Per dovere studiavo elettronica a scuola alla mattina, ma a pomeriggio adoravo sporcarmi le mani in un’officina vicino casa. Andavo lì per puro piacere. Il tempo passava velocemente e per me non era mai ora di tornare a casa, così, mia madre, preoccupata di non vedermi rincasare, veniva a prendermi. È stato così per anni.
Quando ho finito l’istituto tecnico ad aspettarmi c’era un posto come operaio nella piccola azienda metalmeccanica di mio padre.
Ecco quello che volevo. Ecco il lavoro che desideravo.
Ancora però non sapevo che qualcosa sarebbe cambiato. Sono cresciuto e con me anche l’azienda.
Non so spiegare perché e come sia successo ma un lato di me, di cui non avevo ancora preso piena coscienza, mi spingeva a sperimentare, cercare, guardare “altro”, volevo condividere le mie idee, le mie ambizioni, le mie curiosità, volevo far crescere l’azienda, volevo applicare la metalmeccanica a un qualcosa di raffinato: il design.
Dopo aver trascorso anni a lavorare pezzi che qualcun’altro aveva pensato, volevo poter realizzare le mie idee, i miei progetti.
Così ho osato e oggi, con soddisfazione, mi rendo conto che le mie idee sono diventate oggetti raffinati, soluzioni intelligenti, oggetti di design.
La sfida di pensare al nuovo, ideare e realizzare ciò che ancora non esiste è continua ed è ciò che stimola maggiormente il mio impegno quotidiano.
Dentro di me c’è ancora quel bambino che passa le giornate tra le macchine, ma ora può contare anche su una squadra di collaboratori che non esagero se li considero “la mia seconda famiglia”.
Andrea Artioli
